La scoperta delle radio e il fascino dell’autoradio
Sin da piccolo accompagnavo mio padre, imprenditore del legno, nelle sue visite ai clienti. Lui andava in giro per procacciarsi il lavoro, mentre io lo aspettavo in macchina, fedele compagna delle mie prime avventure radiofoniche. L’autoradio era il mio portale segreto verso mondi sconosciuti: potevo toccarla, ascoltarla, vedere le lucine accendersi mentre trasmetteva suoni e voci da posti lontani. Sembrava quasi magica!
Ricordo che ero ancora minorenne quando, seduto in macchina, mi sintonizzavo su Radio Monte Carlo, che trasmetteva sulla frequenza 701 kHz in AM rigorosamente mono. A quell’epoca la stereofonia era ancora un sogno lontano, e tutto arrivava con quel caldo e avvolgente suono tipico dell’onda media. Una vera e propria coccola sonora.
Tra il 1976 e il 1978 la comunicazione stava cambiando, e io mi sentivo nel bel mezzo di una rivoluzione. Scoprii le radio private, una novità assoluta: chiunque, con un po’ di ingegno e qualche apparecchiatura, poteva mettersi dietro un microfono e trasmettere nell’etere. Era elettrizzante! Ascoltavo con curiosità programmi di ogni tipo, giochi radiofonici, dediche, e persino gli scherzi telefonici – il massimo della trasgressione dell’epoca!
E poi c’erano loro: Luisella Berrino e Robertino, le voci inconfondibili di Radio Monte Carlo. Luisella aveva quel tono elegante e raffinato che mi incantava, mentre Robertino riusciva a farmi ridere con la sua ironia. Ogni loro intervento era un appuntamento fisso, un rituale che mi faceva sentire parte di un mondo più grande, pieno di parole, musica e fantasia.
Ma non mi bastava ascoltare: volevo di più. Passavo le giornate a girare la sintonia, cercando stazioni nascoste, segnali misteriosi, magari anche quelli di qualche civiltà aliena! Sì, perché la mia passione per la fantascienza e le comunicazioni andavano a braccetto. Se c’era un messaggio extraterrestre disperso nell’etere, ero certo che un giorno lo avrei captato!
Poi arrivò Radio Hanna, una piccola emittente locale che segnò una tappa fondamentale nel mio percorso radiofonico. Situata vicino casa, era stata creata da Maurizio Amici, il precedente fidanzato di Anna Pettinelli. Non ho mai saputo se il nome fosse dedicato a lei, ma la radio mi affascinava enormemente. Iniziai a seguirla con passione, partecipando ai giochi radiofonici e telefonando a raffica alle trasmissioni fino a diventare amico di alcuni conduttori.
Il momento più emozionante arrivò quando mi invitarono in studio: una piccola casetta isolata in via Besta, un vero e proprio tempio della radio. Lì vidi per la prima volta un’enorme collezione di dischi, i giradischi professionali, i mixer e le attrezzature che fino a quel momento avevo solo immaginato. Quando il capo non c’era, mi permettevano di stare in regia, muovere i fader e persino mettere i dischi. Un giorno, con un conduttore, ci inventammo ‘l’inviato speciale’, un collegamento fittizio in cui leggevo le notizie del giorno prese dal Messaggero. Fingevo di essere in diretta da Vienna, Parigi o chissà dove, e per rendere tutto più realistico, simulavamo una situazione assurda: il conduttore, fingendo di credere al collegamento, diceva ‘Hai sentito che schifo il servizio che hai fatto? Sei licenziato e senza stipendio!’ Io, con voce disperata, chiedevo almeno un biglietto di ritorno, ma la risposta era sempre un secco ‘No! Torni a piedi!’ creando uno sketch esilarante.
Radio Hanna si trasferì poi in un appartamento più grande, nel palazzo vicino, in via Alciato con un arredamento in sughero che mi faceva impazzire. Continuai a frequentarla ancora per un po’, ma con il tempo i miei conoscenti se ne andarono, arrivarono nuovi conduttori, la radio prese un’altra strada ed io anche.
Poi arrivarono altre radio e nuovi protagonisti. Radio Luna, ad esempio, dove di notte ascoltavo Cicciolina con il suo stile provocatorio e fuori dagli schemi. Era un mix incredibile di sensualità e ironia, una vera voce fuori dal coro. E poi c’era Gianni Elsner, una leggenda della radiofonia romana. Con il suo tono caldo e rassicurante riusciva a entrare nel cuore degli ascoltatori, raccontando storie e trasmettendo emozioni. Un vero comunicatore, di quelli che oggi mancano.
Ma si sa, crescendo si cambiano abitudini. Arrivarono le motociclette, la velocità, l’adrenalina, e la radio finì temporaneamente in un angolo. Dico temporaneamente perché il richiamo dell’etere non si fece attendere troppo. Negli anni successivi, le radio private e persino la RAI – che tanto avevo amato da piccolo – tornarono nella mia vita. Ma con una differenza sostanziale: stavolta non venivo più cacciato dagli studi, anzi, mi chiamavano per riparare le loro attrezzature! La soddisfazione di passare da appassionato clandestino a tecnico riconosciuto fu immensa.
Era il segno che il mio viaggio nel mondo della tecnologia e delle comunicazioni non si era mai davvero interrotto.
Pensarci oggi mi fa sorridere. La radio, che per molti era solo un accessorio dell’auto, per me è stata una porta su un universo di possibilità. Mi ha insegnato l’importanza della sperimentazione, della curiosità e della perseveranza. E anche se oggi il mondo della comunicazione è completamente cambiato, quella scintilla di meraviglia che provavo ogni volta che giravo la sintonia rimarrà sempre accesa dentro di me.
Nonostante le trasformazioni sociali e tecnologiche degli ultimi anni, la televisione italiana sembra rimanere legata a modelli del passato, incapace di rispondere appieno alle aspettative di un pubblico sempre più esigente e variegato. Un esempio emblematico è il Festival di Sanremo, un evento culturale che continua a oscillare tra tradizione e innovazione, spesso suscitando dibattiti accesi.
Una delle principali critiche rivolte a Sanremo riguarda l’uso dell’autotune. Sebbene nato come strumento per correggere imperfezioni vocali, oggi viene spesso utilizzato per scopi creativi. Tuttavia, molti spettatori percepiscono che, nel contesto del Festival, questa tecnologia finisca per appiattire le performance dal vivo. Quest’anno, in particolare, l’uso esteso dell’autotune ha alimentato polemiche, dividendo il pubblico tra chi lo considera un elemento innovativo e chi lo vede come un limite alla genuinità delle interpretazioni.
Questo fenomeno solleva una domanda cruciale: Sanremo sta ancora celebrando la musica dal vivo o sta puntando principalmente sugli effetti scenici?
Negli ultimi anni, il regolamento del Festival ha subito modifiche significative, spesso accolte con reazioni contrastanti. Un esempio è stata l’introduzione, lo scorso anno, di una canzone in dialetto napoletano, considerata da alcuni un omaggio alla diversità linguistica italiana, mentre altri l’hanno giudicata una strategia simbolica.
Anche il sistema di voto è finito al centro delle polemiche. Lo scorso anno, sono emerse accuse di brogli e favoritismi legati alle decisioni della giuria qualificata, sollevando dubbi sulla trasparenza e l’equità del processo di selezione. Questo ha contribuito ad alimentare la percezione che i risultati del Festival siano talvolta influenzati da dinamiche poco chiare, piuttosto che da un autentico merito artistico.
Quest’anno, invece, l’attenzione si è concentrata sull’autotune, che ha monopolizzato il dibattito, mettendo in secondo piano le capacità vocali degli artisti. Questi cambiamenti, pur volendo modernizzare l’evento, rischiano di allontanarlo dalla sua tradizione di valorizzazione della musica autentica e delle diversità culturali.
Un altro aspetto che limita il Festival è il suo format, che, nonostante tentativi di aggiornamento, appare ancora legato a schemi consolidati. Conduzioni rigide, tempi dilatati e scelte artistiche spesso discutibili rendono difficile attrarre un pubblico giovane e abituato alla dinamicità delle piattaforme di streaming.
Inoltre, la programmazione in orari serali, spesso sovrapposti alle uscite tipiche del weekend, rappresenta un ulteriore ostacolo per catturare l’attenzione delle nuove generazioni. I giovani, impegnati in attività sociali o ricreative, difficilmente dedicano tempo a un evento che non sembra rispondere alle loro abitudini e interessi.
A ciò si aggiunge una rappresentatività limitata dei generi musicali emergenti, che potrebbero portare freschezza e nuovi punti di vista a un evento che ambisce a essere un simbolo della musica italiana.
Per mantenere il suo ruolo centrale, Sanremo deve aprirsi a un rinnovamento. Questo potrebbe includere una maggiore apertura verso sperimentazioni musicali, un uso limitato della tecnologia nelle performance dal vivo e una programmazione che rifletta le molteplici anime della cultura contemporanea.
Sanremo può ancora essere un punto di riferimento per la musica italiana, ma per farlo deve abbracciare il cambiamento come una risorsa, trasformandosi in un evento capace di coniugare tradizione e innovazione in modo equilibrato.
Nel mondo della tecnologia, l’importanza di un sistema audio-video professionale ben progettato è sempre più evidente. Che si tratti di sale conferenze, teatri, studi di registrazione o abitazioni di lusso, la qualità dell’impianto determina il successo dell’esperienza audiovisiva. Osvaldo Bizzarri, figura di riferimento nel settore, condivide il suo approccio alla progettazione e installazione di soluzioni all’avanguardia.
Secondo Osvaldo Bizzarri, un impianto audio-video professionale deve rispondere a tre criteri fondamentali:
Gli impianti audio-video professionali trovano applicazione in numerosi ambiti:
Osvaldo Bizzarri integra nei suoi progetti tecnologie di ultima generazione come:
Affidarsi a un esperto come Osvaldo Bizzarri significa avere la certezza di un lavoro impeccabile, dalla progettazione all’installazione. Ogni dettaglio viene curato con precisione, garantendo soluzioni che uniscono estetica, funzionalità e tecnologia.
Investire in un impianto audio-video professionale è una scelta che valorizza ogni ambiente e migliora l’esperienza quotidiana. Grazie alla competenza di Osvaldo Bizzarri, ogni progetto si trasforma in un’opera d’arte tecnologica.
Il Walkman, l’iconico dispositivo che ha rivoluzionato il mondo della musica portatile, ha finalmente fatto il suo addio. La Sony, azienda che ha lanciato il prodotto più di 40 anni fa, ha annunciato la cessazione della produzione dei lettori cassette Walkman, segnando la fine di un’era che ha accompagnato intere generazioni.
Era il 1979 quando Sony lanciò il suo primo Walkman, un dispositivo che permetteva agli utenti di ascoltare musica in qualsiasi momento e ovunque, grazie alla sua portabilità. Un’idea semplice ma geniale: un piccolo lettore cassette che si adattava facilmente alla vita quotidiana. Il Walkman non solo ha reso possibile l’ascolto della musica in movimento, ma ha anche cambiato il modo in cui le persone si relazionavano alla musica, dando vita a una nuova forma di intimità sonora. Gli utenti, con le loro cuffie, potevano entrare in un mondo parallelo, isolandosi dalle distrazioni del mondo esterno.
Negli anni ’80 e ’90, il Walkman divenne un simbolo di libertà e indipendenza. La sua popolarità esplose rapidamente, ed era difficile trovare qualcuno che non possedesse uno di questi dispositivi. Le cassette audio, che un tempo dominavano le vendite musicali, venivano masterizzate, scambiate e ascoltate attraverso i Walkman. La qualità audio, pur non paragonabile a quella dei moderni dispositivi digitali, aveva un fascino tutto suo, che regalava a ogni canzone una sensazione unica.
Le dimensioni compatte del Walkman, la sua portabilità, e la possibilità di scegliere tra milioni di cassette musicali lo resero un compagno inseparabile di viaggi, allenamenti e momenti di relax. Per molti, ascoltare musica con il Walkman era una forma di espressione, un modo per dire “questa è la mia musica, e questo è il mio momento”.
Con l’avanzare della tecnologia, il Walkman ha subito evoluzioni. La Sony ha introdotto il Discman, un lettore CD portatile, e successivamente ha abbracciato il formato MiniDisc. Questi nuovi formati, tuttavia, non hanno mai avuto lo stesso impatto del Walkman originale. La diffusione dei lettori MP3 e la crescente popolarità degli smartphone hanno lentamente rimpiazzato i dispositivi portatili, relegando il Walkman a un oggetto nostalgico.
La decisione di Sony di cessare definitivamente la produzione dei Walkman giunge dopo un periodo in cui i lettori digitali e i servizi di streaming musicale hanno preso piede, con piattaforme come Spotify e Apple Music che hanno trasformato l’intero panorama musicale. La musica non è più fisica, non è più legata a cassette o dischi, ma è diventata un flusso digitale che può essere ascoltato ovunque, a qualsiasi ora.
Sony ha deciso di interrompere la produzione del Walkman, ma non senza celebrare la sua lunga storia. Sebbene il dispositivo sia ormai obsoleto, il Walkman rimarrà un’icona della cultura pop degli anni ’80 e ’90, simbolo di un’era in cui la musica aveva una forma fisica e personale.
Anche se i dispositivi digitali hanno superato il Walkman in termini di capacità e qualità, il valore nostalgico del lettore cassette rimane intatto. Molti ricordano con affetto la sensazione di mettere una nuova cassetta nel Walkman, di far partire la musica e di immergersi nel proprio mondo sonoro. Ogni Walkman racconta una storia di crescita, di scoperta musicale e di momenti di solitudine. Per molti, il Walkman è stato il primo dispositivo che ha reso possibile la musica in movimento, un concept che oggi, ovviamente, non sorprende più nessuno, ma che allora era pura magia.
L’addio al Walkman segna la fine di un’era, ma la musica, quella che ha reso questo dispositivo celebre, continua a vivere in nuove forme. Oggi possiamo ascoltarla con uno smartphone, con gli auricolari wireless o attraverso gli altoparlanti intelligenti, ma l’essenza del Walkman, quell’idea di portare la musica con sé in ogni momento della giornata, persiste.
Anche se non vedremo più nuovi modelli di Walkman, il suo lascito rimarrà sempre nel cuore di chi lo ha amato. Il Walkman non è solo un oggetto, è stato un simbolo di un tempo in cui la musica aveva un altro significato, un altro suono, una nuova forma di libertà.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.